Taranto e la città del presente, tutte le prove per ritrovare «la mia terra»

Taranto e la città del presente, tutte le prove per ritrovare «la mia terra»
di Anita PRETI
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Domenica 5 Maggio 2024, 19:03 - Ultimo aggiornamento: 6 Maggio, 18:23

La verità, vi prego, sull'amore è il titolo di un libro del poeta inglese Wystan Hugh Auden. Ogni tanto bisogna rubare le parole a qualcuno. Non prenderle in prestito, proprio rubarle. Perché se le si prende in prestito occorre restituirle; rubandole si possono fare proprie. E siccome sono solo parole, non si fa male ad alcuno. La verità, dicevano altri sempre del ramo (romanzieri, poeti, filosofi, intellettuali) va tenuta stretta, custodita, accompagnata nel cammino, altrimenti rischia di scappare via. E questo sarebbe un danno enorme. Per l'individuo, per la memoria, per la storia.
Taranto, grazie ad un film, "Palazzina Laf" girato da Michele Riondino e coronato da premi (tanti David di Donatello, massimo riconoscimento italiano alla cinematografia) che si aggiungono ad un'altra medaglia di grande spessore (i mesi e mesi di programmazione nelle sale), si sente improvvisamente ed ancora una volta al centro dall'attenzione nazionale. Ma questa volta grazie ad una splendida notizia. La parte più bella del film, dedicato ai lavoratori dell'Ilva, arriva quasi sui titoli di coda quando si inanellano le note di una canzone, "La mia terra", che Antonio Diodato ha scritto per l'opera del suo amico Michele convocato al debutto nella regia sul grande schermo (a quelle teatrali si esercita già da tempo).

A volte dinanzi ad una canzone ci si lascia sedurre dalla musica più che dalle parole, questa volta sono le parole di Antonio che contano: "Terra di fuochi e di mare/ terra di sangue e di sale/ rossa di minerale/ tra scirocco e maestrale". È la sua Taranto e la Taranto di tutti.

L'inno della città e se non lo è ancora deve diventarlo. Si lasci pure cadere in mare, munita di salvagente beninteso, la tarantella di Mario Costa roba dell'Ottocento quando da queste parti non colava sangue, non pungeva il sale anche se c'erano miseria e fame per molti e benessere per pochi. Mentre un fondo di speranza veniva a galla: il lavoro, una fabbrica purché di Stato: l'Arsenale Militare, prima; l'acciaieria, dopo. Due colossi arrivati sulle rive del mare non da soli ma scortati dal consenso; di quei pochi, per quei molti. Le cose sono andate a finire come tutti sanno "Taranto: città meravigliosa violentata dal profitto altrui", ha detto Elio Germano anch'egli premiato con il David come attore non protagonista di "Palazzina Laf". Per il suo significato, per il suo valore, "La mia terra" ricorda un po' "Amara terra mia" di Modugno. È una canzone che vale più di un libro e di un film ed il finale vale la pena riportarlo: "Eppure amore mio/Non si è mai spezzato/Questo sogno fatato/che ci tiene legati con tutto l'amore alla terra/che non abbiamo difeso/ ed ora è un campo minato/su cui crescono fiori bellissimi".

Il futuro

E se fosse questa la vera carta degli intenti, la Costituzione di una nuova e libera città dove dominatori e dominazioni hanno anche lasciato il segno ma non hanno spento lo spirito ribelle. Proprio dalla ribellione di due giovani tarantini, Riondino e Diodato, diversissimi nel carattere, simili nell'impegno, è nato un film che accende nuova luce la città. Parla del lavoro, anche se il lavoro a Taranto, senza dirne, lo mostra con più orgoglio "Comandante", il film di Enrico De Angelis con Pierfrancesco Favino girato in parte nell'Arsenale. "Siamo cresciuti con l'idea che non ci fosse altra destino che la fabbrica" parafrasando Jannacci, ha aggiunto l'altra sera Riondino, durante la cerimonia di premiazione, tenendo stretta tra le mani la sua statuetta. "Il cinema è un'altra grande industria, non è alternativa ma crea posti di lavoro. Possiamo fare a meno della fabbrica se si sviluppano altre prospettive". Il cinema, l'arte, l'artigianato, la piccola industria e il commercio, i mestieri del mare e quelli della terra. Segnali se ne vedono. La navigazione della fantasia è iniziata. Si può fare, "damose da fà" direbbe un pontefice giocoso. Si può venire fuori dai giorni bui coltivando i fiori bellissimi che Diodato ha già visto: riflessioni, intuizioni, iniziative soprattutto dei giovani che vanno accettate promosse accompagnate. Come la verità. Perché, per dirla questa verità, altri giovani tanti anni fa ci hanno già provato e non hanno avuto uguale fortuna. Perché, solo per restare nel cinema, oggi c'è Il David ma ieri si è sfiorato l'Oscar, perché un regista come Emidio Greco è stato più amato fuori che in patria, perché ventidue anni fa un altro regista, Pasquale Pozzessere, ha aperto con le sue immagini la porta "Verso Sud". Perché questa città ha lasciato svanire il Premio Taranto, perché ha perso il primato del consumo teatrale (nel Mezzogiorno seconda solo a Napoli) e i perché potrebbero continuare all'infinito nella capitale della noncuranza. Appunto: altri tempi. Ma era già tutto scritto e tutto possibile, bastava vederlo e non era colpa del fumo delle ciminiere. Oggi, si può dire di nuovo e con Antonio, "c'è un destino segnato/ la mia terra ho trovato". Tenersela stretta e andarne orgogliosi è il minimo dovuto.
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