«Il tumore fu diagnosticato in ritardo»: la Asl costretta a un maxi risarcimento nel Salento

«Il tumore fu diagnosticato in ritardo»: la Asl costretta a un maxi risarcimento nel Salento
di Roberta GRASSI
3 Minuti di Lettura
Mercoledì 8 Maggio 2024, 22:05 - Ultimo aggiornamento: 9 Maggio, 18:18

Una diagnosi tempestiva avrebbe potuto forse cambiare le cose. Nessuno potrà mai dire se avrebbe salvato la vita alla paziente, ma forse avrebbe inciso sull’aspettativa di vita e sulla possibilità di sottoporsi a terapie più proficue. 
È sulla base di questo principio, in sintesi, che la Corte di Cassazione ha confermato un risarcimento pari all’incirca a 300mila euro per i famigliari di una giovane donna, morta a seguito di un tumore all’utero. La paziente, a quanto è risultato, era stata sottoposta al prelievo di un campione per l’esame istologico. Ma tale verifica non era mai stata eseguita dal ginecologo che la seguiva. Era in vita quando è partita la causa civile, nel 2007. A portarla avanti, per resistere alle impugnazioni della Asl di Brindisi, sono stati i parenti. I fatti si sono verificati, appunto, a Brindisi. La donna è di Lecce, ed è stata assistita dagli avvocati Fernando Greco e Tonia Gigante.
«La corte territoriale - scrivono gli Ermellini - ha spiegato che la richiesta risarcitoria era stata correlata alla probabilità di maggiore sopravvivenza e non di guarigione dal morbo aggressivo tumorale, evocando in questa prospettiva il valore da attribuire per anno di probabile sopravvivenza». Il punto determinante, dunque, è stata la «perdita di chance» che una diagnosi tempestiva avrebbe potuto limitare. 

La sentenza

La Cassazione, spiega la difesa, «ha posto definitivamente fine alla dolorosa vicenda umana degli eredi di una giovane donna di Lecce, venuta a mancare a causa di una malattia oncologica, tardivamente diagnosticata dal medico specialista della struttura ospedaliera cui la paziente si era rivolta, a seguito degli esordi della sintomatologia». 
Secondo quanto emerso nei tre gradi di giudizio, la mancata esecuzione dell’esame istologico aveva provocato una scoperta tardiva del tumore maligno, che era quindi avvenuta solo dopo alcuni mesi, con la contestuale diagnosi di metastasi diffuse, che avevano portato la giovane donna alla morte prematura durante il processo di primo grado. 
Il Tribunale di Brindisi aveva accertato che il ritardo diagnostico aveva comportato la rapida progressione della patologia neoplastica, influendo sulle scelte terapeutiche a disposizione e diminuendo sensibilmente le probabilità di sopravvivenza, stimate dai consulenti tecnici nominati d’ufficio nel 15-20 per cento. 
Il danno, a parere della Cassazione, è costituito dall’aver perso la possibilità di sfruttare prospettive terapeutiche migliori, o comunque cure più proficue, con conseguenti migliori prospettive diagnostiche. Con una distinzione puntuale tra il danno da perdita anticipata della vita, diverso da quello che deriva dalla perdita di chance di maggiore sopravvivenza
Soddisfazione per l’esito della vicenda, è stata espressa dai due difensori, «per la conclusione di questa vicenda umana molto dolorosa e anche per la statuizione di un importante principio di diritto in termini di quantificazione e liquidazione del danno, per quanto sia evidentemente impossibile attribuire il giusto valore a una giovane vita interrotta troppo precocemente». 
Oltre al risarcimento (che era già stato versato al termine del primo grado di giudizio e che, in caso di esito differente avrebbe dovuto essere restituito alla Asl), l’azienda sanitaria è stata condannata alle spese processuali. 
[RIPRODUZ-RIS]© RIPRODUZIONE RISERVATA

© RIPRODUZIONE RISERVATA